Ti racconto di questo malinteso e di come educare alla parità significhi educare alla libertà
«Non posso e non voglio impedirle di amare ballerine e principesse»
«Non vestirò mai mia figlia di rosa»
«Vogliono educare alla parità, ma poi loro figlio è vestito di blu da capo a piedi»
Hai mai sentito o detto frasi simili?
Io diverse volte.
Ci vedo soprattutto malinteso.
Con questo articolo vorrei chiarire la faccenda.
Ma prima di cominciare, fammi una promessa.
Se leggi qualcosa che non ti piace, dimmi cosa non ti convince.
È solo così che potremo iniziare delle conversazioni interessanti su questi temi.
Cosa trovi in questo articolo:
Educare alla parità significa educare alla libertà
Il grande malinteso riguardo all’educare i propri figli alla parità è questo: pensare che significhi non lasciare liberi i propri figli di seguire le loro inclinazioni.
Perché magari tuo figlio è perfettamente in linea con lo stereotipo corrente, che tu vorresti tanto sradicare.
E difatti alcune persone la interpretano così, la parità di genere.
«Non vestirò mai mia figlia di rosa», dicono.
Anche io ogni tanto mi chiedo se sto sbagliando qualcosa quando vedo mio figlio beato tra ruspe e betoniere.
Poi mi fermo e mi ripeto il mantra:
Educare alla parità significa educare alla libertà.
Perché educando alla parità si rimuovono etichette, abbandonano scatole, scardinano gabbie.
Il punto non è dunque «impedire di amare ballerine e principesse» alla tua bambina.
Obbligare tuo figlio a lasciare vestiti blu in favore di quelli rosa.
Sì, il mio nono di 20 consigli pratici per educare alla parità di genere riguarda proprio i colori e dice:
Proponi una gran varietà di colori. A meno che tu li adori, minimizza l'uso di colori stereotipati in casa e quando lo fai, invertili: spazzolino blu alla mamma, rosa al papà. |
Ma questo non significa che io obblighi mio figlio: semplicemente metto il rosa tra le sue opzioni.
Il secondo malinteso è pensare che educare alla parità significhi voler annullare le differenze.
Affermare che le donne sono uguali agli uomini.
Perché non lo sono.
Come non sono uguali nemmeno tuo fratello e il tuo capo, per dire.
Educare alla parità è rendersi conto che al giorno d’oggi vi sono disparità di trattamento, che non hanno senso di esistere.
Educare alla parità è anche valorizzare le differenze di ogni persona.
Se ti interessano questi temi ti consiglio il racconto Principessa Fiordaliso nel rifugio dei fiori erranti di Valeria da Pozzo.
Valeria si immagina un mondo in cui le bambine non possono più vestire di rosa, provare il desiderio di accudire il prossimo, immaginare di essere principesse.
7 modi in cui gli stereotipi di genere limitano la nostra libertà
Quindi, se vuoi educare alla parità non parti dal principio di limitare la libertà del tuo bambino.
È proprio il contrario.
Perché educando alla parità sradichi stereotipi.
E sono proprio gli stereotipi di genere che ci limitano, sia che siamo una bambina, un bambino, una donna, un uomo o una persona non binaria.
Come?
Ti faccio qualche esempio.
1. Ruoli di genere prestabiliti
In base al nostro genere gli stereotipi correnti ci danno dei ruoli prestabiliti, limitando le nostre possibilità.
Se sono una donna che lavora e ho dei figli, è molto più probabile che avrò una percentuale lavorativa più bassa di mio marito e che sarò la principale responsabile della cura dei figli e della casa.
È meno probabile che diventerò una gestrice di progetto, una direttrice d’azienda.
2. Professioni
Esistono delle professioni particolarmente segregate per genere.
A causa degli stereotipi, in base al nostro genere alcune professioni non vengono nemmeno considerate.
In alcuni casi si è addirittura scoraggiati a seguire determinati percorsi.
Pensa a quante meccaniche d’auto o quanti estetisti conosci.
3. Emozioni
Alcune emozioni sono più tollerate di altre in base al genere: una bambina può piangere, un bambino no.
Una bambina può avere paura, un bambino no.
Nel bambino la rabbia viene tollerata più che in una bambina.
In questo libro, viene riportato il risultato di uno studio in cui si fanno ascoltare dei pianti di bambini a delle persone. Se gli si dice che il neonato che sta piangendo è una bambina, le persone giudicano il dolore che sta provando meno intenso di quando gli si dice che è un maschio. Lo stereotipo dietro a questi risultati è probabilmente quello per cui “un maschio deve avere delle buone ragioni per piangere”. Questo viene tradotto in frasi fatte come “tu sei un maschio, non devi piangere” o “non fare la femminuccia” quando a dei bambini spuntano le lacrime. |
4. Tratti del carattere
Similmente, alcuni tratti del carattere sono più tollerati in un genere se in linea con lo stereotipo.
Un bambino molto sensibile diventa facilmente additato come ipersensibile o, peggio, “una femminuccia”.
Una bambina, ma direi anche una donna, che urla è isterica [1] o lunatica.
O come si diceva a me, “tarantola” 🕷
Ora che ci penso, mio fratello non ha ricevuto soprannomi simili, anche se pure lui ha avuto le sue crisi.
Decisamente a lui veniva fatto notare l’essere sensibile o timoroso.
Gli si chiedeva “sei un uomo e una farfalla?” 😲
Ma solo da noi si usava questa frase?
Googlando non ho trovato nulla 🤷♀️
Chiaramente, questo si è fatto in passato e si ripropone oggi non perché siamo pessimi genitori.
È difficile staccarsi dall’educazione ricevuta, quindi ce la portiamo dietro da “altri tempi”.
Ora però abbiamo i mezzi per informarci e studi che mostrano gli effetti che le parole hanno sull’educazione dei nostri figli.
5. Vestiti e accessori
Devo davvero scrivere qualcosa qui?
È chiaro che tutta la società e l’industria ha delle idee ben chiare su come io mi debba vestire in base al mio genere.
I colori, gli accessori, i trucchi.
Ricordo che qui a casa si era fieri del fatto che mia nonna, classe 1933, fosse una delle poche donne a portare i pantaloni da queste parti.
Ho pensato tanto alla questione dei vestiti.
Cerco di prepararmi al giorno in cui ipoteticamente mio figlio potrebbe chiedermi di uscire di casa indossando una gonna.
Ma questo è materiale per un altro articolo.
6. Interessi
Anche qui, vi sono interessi più o meno legittimati, più o meno incoraggiati in base al genere.
Già solo il fatto che solitamente le bambine in regalo ricevono bambole anziché macchinine è significativo.
Mio figlio essendo maschio in tre anni ha ricevuto in regalo una decina di macchine contro una sola bambola perché l’abbiamo chiesta noi.
Che sia chiaro: non impedire alla tua bambina di giocare con le bambole, se è questo che vuole fare.
Ma come dicevo in questo articolo, sarebbe interessante porsi alcune domande.
Non è che questa predisposizione è data dall’osservare l’ambiente in cui vive?
Le confezioni delle bambole che raffigurano bambine, le cugine più grandi che giocano alle bambole, la mamma con il fratellino, la pubblicità, le immagini nei libri.
È la tua bimba che è naturalmente predisposta o da subito è stata messa in un ambiente da cui lei ha appreso quali debbono essere i suoi interessi?
Che guarda caso coincidono con i ruoli di cui sopra 😅
7. Sport
Come per le professioni, anche molti sport sono segregati per genere.
Se dico calcio e ciclismo ti viene in mente un genere diverso che se ti dicessi danza e pallavolo.
Pure a me da ragazza era stato impedito di andare a giocare a calcio.
Ora ti chiedo: davvero questo mondo ti lascia la libertà di fare, sentire e essere ciò che vuoi?
Oggi ci sono
tratti del carattere
professioni
sentimenti
scuole
sport
ruoli
…
più associati ad un genere che all’altro.
Questa è una grandissima limitazione che bisogna sradicare per lasciare ai nostri figli un mondo migliore di come lo abbiamo trovato.
Il cambio di mentalità che dobbiamo fare è questo:
Le forzature necessarie per raggiungere la parità
Non sono impazzita, giuro.
Seguimi e capirai 😉
Ma scusa, educare alla parità significa educare alla libertà.
Sì, l’ho detto.
Rimuovere stereotipi per permettere ai nostri bimbi di seguire le loro inclinazioni.
Sì, confermo.
Quindi “vivi e lascia vivere, no?”
NO.
È questo il punto.
La risposta corretta non è “vivi e lascia vivere”, questa tecnica funzionerà quando la parità sarà raggiunta.
In questa fase di transizione dal mondo A (impari) al mondo B (paritario), bisogna sforzarsi per uscire dagli stereotipi.
E mettere in atto delle forzature, appunto.
Perché ti assicuro che qualche anno fa comprare il primo body rosa a mio figlio è stato decisamente una forzatura.
Ho dovuto sforzarmi per uscire dallo stereotipo.
Ora che è passato tanto tempo e mi ci sono abituata, la cosa non mi pare più una forzatura.
Rimane un minimo di sforzo, come mettere il filtro “bimba” quando cerco vestiti online o quello di andare nella parte dedicata alle bambine del negozio.
È come quando vai in bicicletta: lo sforzo per mettersi in moto è maggiore ma una volta che hai acquisito velocità va molto meglio!
Il caso delle quote di genere o quote rosa
Ecco, il caso delle quote di genere è utile per spiegare le forzature necessarie per raggiungere la parità.
Le quote di genere, anche dette quote rosa, sono quelle misure che impongono un certo numero di presenze femminili in un’azienda, in una direzione, in un gruppo politico.
Le quote di genere, diciamocelo, hanno quel retrogusto di ingiusto.
Vien da dire:
“Sono contro le quote rosa perché ritengo che per raggiungere la vera parità bisogna valutare per competenze e qualità”
oppure
“Sono per le pari opportunità non per la parità di genere”
Ecco, questa sono io qualche anno fa 😁
Le quote di genere sembrano ingiuste perché in effetti in un certo senso lo sono.
Di nuovo: non sono impazzita. Seguimi 👇
Se a parità di competenze devo scegliere una donna anziché un uomo, sto discriminando l’uomo, giusto?
Ecco, se ci fermiamo al minuto in cui viene effettuata questa scelta sì, non si può negare che è una discriminazione.
Oltretutto, c’è anche la donna scelta che si sente sminuita intuendo che è stata scelta “perché donna”.
Mi è capitato tra l’altro 🙋♀️
Sarebbe più giusto tirare a sorte uno dei due nomi.
Il problema è che le quote di genere non sono una soluzione ma una misura temporanea, una pezza.
Sono esattamente una di quelle forzature di cui ti parlavo e che ci porteranno dal mondo A (impari) al mondo B (paritario).
Non possiamo aspettare che la parità arrivi, così, dal nulla.
Il bias di genere c’è.
E se andiamo avanti come abbiamo sempre fatto basandoci su competenza e qualità, la parità di genere non sarà realtà ancora per molto tempo.
Perché in questo mondo, a parità di competenze e qualità sceglierò un uomo anziché una donna.
Per praticità: eventuali gravidanze e assenze una volta diventata madre, paura di casi di molestie o casini causati da una presenza femminile in un ambiente di soli uomini [2]
A causa di pregiudizi più o meno inconsci sulle donne
Questo è ancora più vero negli ambiti professionali segregati per genere, cioè quegli ambiti di dominanza maschile/femminile.
In quel caso la discriminazione sarà ancora più forte perché inconsciamente si andrà a preferire il genere più usuale per l’ambito.
Ci sono infatti studi che dimostrano come una persona che esercita un’attività o un mestiere considerato inusuale per il suo genere sarà probabilmente sottovalutata.
Analogamente, se l’attività o la professione esercitata sono in linea con ciò che ci si aspetta da quel genere, la persona verrà probabilmente sopravvalutata.
Le quote di genere servono a bilanciare questa situazione.
Come fare per sradicare stereotipi e raggiungere la parità?
Il primo passo è sicuramente informarsi per acquisire consapevolezza, perché:
Le gabbie di genere sono spesso invisibili e ci condizionano in maniera più invasiva proprio quando non riusciamo a percepirle.
Come scrive Irene Biemmi in Gabbie di genere.
Il problema di stereotipi è pregiudizi è dunque che per la maggior parte sono invisibili o perlomeno ben mimetizzati nelle nostre vite.
Passare da “non sapere di non sapere” a “sapere di non sapere” è un già un passo enorme.
Come fare?
5 consigli per prendere consapevolezza riguardo a stereotipi e pregiudizi
⚠ Lo ammetto, i miei consigli sono un tantino autoreferenziali.
Il motivo per cui lo sono è che tanti contenuti sul tema sono noiosi e difficili da leggere. Uno dei motivi per cui ho iniziato questo progetto è proprio quello di rendere questi argomenti più piacevoli da studiare.
Sto riuscendo nell’intento? Conosci altri progetti simili? Fammi sapere, ogni feedback è prezioso e mi aiuta a fornirti un servizio più vicino ai tuoi bisogni! ⇢ lasciami qui la tua opinione! |
1. Leggi i miei articoli, in particolare:
2. Leggi parità in pillole di Irene Facheris.
3. Ascolta questi podcast:
Stereotipi di genere: facciamo piccole rivoluzioni / Con Zaira su Educare con calma il podcast di Carlotta Cerri.
Educare oltre gli stereotipi con Ylenia Parma su Cara, sei Maschilista il podcast di Karen Ricci.
Educazione Emotiva, con Silvia Pasqualini su Crescere Con Tuo Figlio, il podcast di Giovanni Aricò.
4. Sui social, in particolare instagram, segui profili come:
il mio 😁.
@lateladicarlottablog, il focus di Carlotta non è la parità di genere ma il suo mindset è decisamente quello giusto ed è molto sensibile al tema.
@educareoltre_dr.ssayleniaparma
@insiemeperledonne
5. Parla di questi temi con altre persone e vedi dove vi portano le discussioni.
Riflessioni finali
Cambiare è difficile.
Ma come disse Einstein:
La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.
Si può deviare dal percorso prestabilito, io ne sono un esempio 😁
Ma farlo costa più fatica.
Costa fatica nuotare contro corrente per uscire dagli stereotipi.
Se hai letto fin qui, hai già fatto un ottimo lavoro!
Se l’articolo ti è piaciuto mi aiuteresti molto anche solo cliccando sul cuoricino qui sotto.
Te ne sono grata.
Ciao e alla prossima,
[1] Badiamo alle parole che utilizziamo. L’isteria è una malattia mentale, una forma di nevrosi che si manifesta con varie reazioni psicomotorie, sensoriali e vegetative, oggi meglio definita come disturbo da conversione. Ritenuta in passato esclusivamente femminile, in realtà è ugualmente diffusa nei due sessi. Fonte: dizionario Zanichelli.
[2] Quest’ultimo caso sembra assurdo ma l’ho sentito dire con le mie orecchie.